La disobbedienza civile come atto di resistenza alla crisi
Mercoledì 3 luglio, in una fresca serata estiva nello spazio di Porta Pratello a Bologna, Francesco D’Isa e Simone Ficicchia hanno presentato i rispettivi libri Ultima Generazione. Disobbedienza civile e resistenza climatica (edizione Tlon) e L’Ecovandalo. Perché è ora di agire anche a costo di essere odiato (edizioni Piemme).
Ultima Generazione è un movimento sociale di disobbedienza civile nato nel 2021 come campagna interna al movimento internazionale Extinction Rebellion e che ha trovato la totale indipendenza nell’aprile dello stesso anno. Gli obiettivi dei due movimenti sono comuni: disobbedienza civile non violenta e l’urgenza di una transizione ecologica, cioè il graduale passaggio dai combustibili fossili a fonti di energia rinnovabili e sostenibili. Tuttavia, il distacco da XR è stato necessario sulla base dei diversi approcci dei due movimenti alla causa. Ultima generazione, infatti, si contraddistingue per le sue tattiche d’azione e per le sue concrete richieste politiche che rispecchiano l’importanza di ottenere piccole vittorie a livello nazionale.
In questi ultimi tre anni il movimento sociale ha sicuramente fatto parlare di sé, dai blocchi stradali, ai sit-in in piazza fino all’imbrattamento delle opere d’arte, senza alcun dubbio l’azione più discussa dai giornali e dalla televisione. Ragazze e ragazzi giudicate/i come vandale/i, condannate/i a processo non solo dalla giustizia, ma soprattutto dall’opinione pubblica.
È questa condanna pubblica che attira l’attenzione di Francesco D’Isa, scrittore e artista visivo che ha raccolto e curato le storie di Ultima Generazione dal punto di vista delle giovani persone coinvolte. Il suo interesse verso il movimento nasce a partire dalla reazione violenta del giudizio del pubblico davanti alle azioni non violente che, invece, caratterizzano il modus operandi dell’attivismo di questo movimento.
Quando il decoro urbano è diventato più importante della crisi climatica?
D’Isa ha definito la reazione pubblica come una reazione psicotica, una crisi isterica da alienazione della morte.
Il clima ci sta interrompendo nelle nostre abitudini; un cambiamento è per sua definizione una trasformazione, una modifica e, quello climatico, è un cambiamento globale incontrollabile che influenza la nostra vita in modo prepotente. Ne è conseguenza l’eco-ansia, un fenomeno recente che si sta concentrando principalmente fra le/i più giovani, nonché la sensazione e lo stato di paura all’idea ricorrente di possibili disastri ecologici e ambientali.
Che peso ha un quadro imbrattato davanti a tutto questo?
Essendo l’arte un prodotto umano anch’essa è finita, limitata, soprattutto è e deve essere sottoposta ad atti di risignificazione. Come ha sottolineato D’Isa in un articolo per la rivista The Italian Review, dobbiamo guardare al “vandalismo” verso le opere d’arte come a una pratica più complessa e meno anti-artistica di quel che sembra, in quanto ci informa del modo in cui una determinata società reagisce e parla ai (e con i) simboli del passato.
Pertanto, la domanda da porsi è: come sta reagendo la nostra società ai simboli del passato?
Stigmatizzare le/gli attiviste/i come eco-vandali sposta la nostra attenzione sulla “banalità” degli oggetti sporcati, sull’azione percepita come vandalica senza soffermarsi sul significato di quell’atto. Nascondersi dietro lo scandalo e, soprattutto, concentrare l’attenzione mediatica solo sul vetro sporco o sul blocco stradale come disagio sociale perché impedisce di essere in tempo sul posto di lavoro, sono tutti motivi futili a cui aggrapparsi pur di non pensare alla tragicità della nostra situazione attuale.
Ultima generazione con le sue azioni non violente, ma fisiche e artistiche, ha riportato l’interesse pubblico verso un dibattito che si stava, in un certo senso, “accomodando”.
In un’Italia in cui la ministra del turismo Daniela Santanchè crede di poter risolvere il problema degli ultimi disastri climatici in Valle d’Aosta semplicemente portando i turisti a valle in elicottero, saranno davvero gli eco-vandali il pericolo pubblico?
Pur di rifiutare l’idea del disastro che incombe, siamo disposte/i ad additare le/gli attiviste/i per le loro azioni non decorose, a negare la corporeità dei loro atti non violenti e a sacralizzare il prodotto artistico umano in una società in cui il concetto di sacro è ormai volubile tanto quanto l’arte.
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