Se il punto in cui ti immergi in un fiume è il presente, pensai, allora il passato è lacqua che ti ha superato, quella che va verso il basso e dove non c’è più niente per te, mentre il futuro è lacqua che scende dallalto, portando pericoli e sorprese. Il passato è a valle, il futuro a monte.”

Roma, 4 luglio 2024 – Un’atmosfera incantata ha avvolto il Parco della Cervelletta, grazie alla proiezione del film “Le otto montagne”, tratto dall’omonimo romanzo di Paolo Cognetti, vincitore del Premio Strega 2017. 

L’evento, organizzato dalla Fondazione Piccolo America, ha richiamato una folla numerosa e appassionata, desiderosa di immergersi nella bellezza dei paesaggi montani e nelle profonde riflessioni offerte da un film che, a due anni dalla sua uscita, riesce ancora a richiamare il pubblico e a incatenarlo a sé.

L’ambiente del Parco della Cervelletta, con i suoi spazi verdi e l’antica torre medievale a gravitare su un prato immerso di fieno e cuscini colorati, ha fornito la cornice perfetta per una serata di cinema avvolta dal fruscio delle foglie e dal canto delle cicale. Gli spettatori che, seduti su coperte, asciugamani e sedie pieghevoli, hanno potuto godere di un’atmosfera suggestiva, sono stati più di 2700, amplificando una delle proiezioni cinematografiche indipendenti più suggestive degli ultimi anni. 

Un romanzo intimo 

“Le otto montagne”, diretto dai registi Felix Van Groeningen e Charlotte Vandermeersch, racconta la storia di un’amicizia unica e indissolubile tra Pietro e Bruno, due bambini provenienti da retroterra completamente differenti, che si incontrano in un piccolo villaggio delle Alpi italiane. La narrazione, delicata e toccante, esplora i temi della natura, della ricerca di sé e delle radici profonde che legano gli esseri umani ai loro luoghi d’origine e ai legami carnali dell’infanzia, creando un nuovo concetto di famiglia, amore e patria a cui tornare.

É indubbio che le scene del film abbiano affascinato il pubblico, non solo per la loro intensità emotiva ma anche e sopratutto per la straordinaria fotografia. Le montagne, con le loro cime innevate, i boschi fitti e i ruscelli trasparenti, immersi nel verde intenso delle valli coperte di nebbia, sono state immortalate con cura meticolosa e sottilmente introspettiva.

Attraverso la lente della cinepresa, la “natura”, così come Bruno non vuole la si chiami — “Siete voi di città che la chiamate natura. È così astratta nella vostra testa che è astratto pure il nome. Noi qui diciamo bosco, pascolo, torrente, roccia, cose che uno può indicare con il dito. Cose che si possono usare. Se non si possono usare, un nome non glielo diamo perché non serve a niente.”— assume tutti i tratti caratteriali e psicologici di un uomo, con gambe di legno e braccia di pietra, dilemmi da sviscerare, tormenti da infliggere. Piegandosi sotto le intemperie e facendosi culla materna, la montagna diventa una compagna, sopratutto per la figura del padre, che c’è e non c’è, che lavora e respira a Torino, ma di fatto vive in montagna. Perché il suo cuore è lì, è lì che il suo sangue sente lo scorrere del tempo. Si tratta di un padre controverso, che insegna e abbandona, ama ma respinge. È tanto incompreso quanto ricercato spasmodicamente, non solo da Bruno — che dal proprio di padre viene ripudiato — ma anche e sopratutto da Pietro, che pur essendo un figlio di sangue ne insegue per tutta la vita le tracce, in cerca di un indizio, di una strada da percorrere che lo liberi dal peregrinaggio, attraverso quella montagna che lo fa sentire a casa ma lo respinge, al di là delle otto montagne che segnano i confini del globo. 

La montagna non è solo nevi e dirupi, creste, torrenti, laghi, pascoli. La montagna è un modo di vivere la vita. Un passo davanti all’altro, silenzio, tempo e misura.”, dice Bruno. La montagna è un concetto, uno stato d’animo, una condizione d’esistenza che determina la nostra altitudine  nella vita. 

A rendere bene questa immagine, sono sicuramente i colori vividi e i giochi di luce e ombra che hanno reso ogni fotogramma di questa pellicola una poesia visiva, in grado di trasportare gli spettatori in un viaggio sensoriale attraverso le Alpi e il cuore di due uomini completamente diversi, eppure, struggentemente uguali.

Fotografia e sceneggiatura: un connubio perfetto 

La fotografia del film, curata da Ruben Impens, è stata uno degli elementi più apprezzati dal grande pubblico e dalla critica. Ogni inquadratura è stata studiata per esaltare la maestosità della natura e la fragilità dei protagonisti, creando un contrasto potente e suggestivo. Le riprese aeree delle montagne, i dettagli dei volti segnati dal tempo e dalle emozioni, e le ampie vedute panoramiche hanno reso la visione un’esperienza immersiva, coinvolgente, profondamente intima. 

La sceneggiatura, scritta dagli stessi registi insieme a Paolo Cognetti, è riuscita a catturare l’essenza del romanzo, mantenendo intatta la profondità dei dialoghi e la complessità dei personaggi; le loro manie, le paure, le fragilità indiscusse.

Le parole, mai superflue, sono state dosate con sapienza, creando momenti di grande intensità emotiva. Le riflessioni dei protagonisti sulla vita, sulla natura e sull’amicizia hanno creato un’eco quasi surreale sulla platea, suscitando applausi e commozione; una commozione che si è protratta fino alle due del mattino, fomentata da Alessandro Borghi e Luca Marinelli, presenti alla serata e intervistati a fine proiezione tra le urla di un pubblico entusiasta, restio a lasciare il prato immerso dalle lucciole.

L’estate con il Cinema in Piazza

La serata al Parco della Cervelletta si è conclusa in quello che alla maggior parte degli astanti è sembrato un attimo, segno dell’apprezzamento e della partecipazione empatica a un film che ha dato a tutti qualcosa, emozioni e riflessioni diverse per ognuno eppure presenti, tangibili, reali come è reale la montagna, che uno l’abbia vissuta oppure no. Ancora una volta, i ragazzi del Piccolo America hanno dimostrato il loro impegno nel promuovere il cinema di qualità, offrendo agli spettatori una visione cinematografica di rara bellezza, un’esperienza unica e assai difficile da dimenticare. 

L’evento ha confermato l’importanza di iniziative culturali che valorizzano i luoghi storici e naturali di Roma, creando momenti di condivisione attraverso il linguaggio universale del cinema, una grammatica profondamente umana e sensibile, in grado di spiegare, come la letteratura,  il lessico delle emozioni senza verbo, la sintassi che ci permette di vivere da soli eppure col mondo. 


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