Intervista ad Alessia Manzi

Giovedì 29 agosto è una sera d’estate nella campagna barese di Casina Torrebella, l’associazione Spazio17 presenta Voci dal Kurdistan, una serata dedicata ai racconti della reporter indipendente Alessia Manzi e degli/delle attivisti/e impegnati/e sui territori del Rojava. Gustando i prodotti agro-ecologici di Zero e Lode tra i banchetti delle autoproduzioni, avvolti/e dal profumo di rucola selvatica e dalle note del musicista e compositore curdo Ashti Abdo, la voce del Kurdistan si è fatta lentamente spazio colpendoci e segnandoci come le note degli strumenti di Abdo. 

Poco dopo l’inizio dell’intervento mi sono resa conto che avrei voluto scrivere di questo incontro, riportare questa storia a più persone possibili senza lasciare che venisse ripetuta solo nei soliti, pochi luoghi. La questione curda resta ignota alla massa e nascosta dai media, eppure, ciò che mi ha sconvolta è la potenza delle idee rivoluzionarie che guidano questo popolo, nello specifico il confederalismo democratico e la Jineolojî , molto importanti per il pensiero democratico e femminista. 

Settimane dopo l’evento ritrovo, tra i miei libri non letti, Liberare la vita: la rivoluzione delle donne di Abdullah Öcalan, filosofo e leader del PKK nonché il movimento dei lavoratori curdi. Ne inizio subito la lettura restando colpita dalla correlazione tra la libertà delle donne e quella di tutti i popoli colonizzati, infatti, senza un’approfondita analisi della schiavitù delle donne e senza stabilire le condizioni per superarla, nessun altro tipo di schiavitù può essere analizzato né superato, afferma Öcalan. Diverse domande sono emerse sia in seguito all’evento, ma anche dalla lettura di Öcalan, in particolare sulla Jineolojî e sul ruolo delle donne nella rivoluzione curda. Decido, perciò, di mettermi in contatto con Alessia Manzi e gli/le attivisti/e in Rojava. 

Alessia Manzi è reporter indipendente che si occupa di migrazioni, diritti umani e zone di conflitto. A maggio 2022 è stata in Rojava, nei territori dell’Amministrazione Autonoma del Nord e dell’Est della Siria, per realizzare un reportage su Jinwar, un villaggio costruito nel 2017 dove donne e bambini vivono in maniera libera. Si tratta di uno spazio in cui vengono riprodotti i tre principi del confederalismo democratico: democrazia diretta dal basso, liberazione della donna, ecologia sociale. 

Perché la situazione del Kurdistan passa inosservata alle istituzioni europee? 

“La situazione curda non passa inosservata soltanto davanti alle istituzioni europee ma, in generale, anche al resto dell’Occidente. I motivi da indagare sarebbero molteplici, ma ne riporto alcuni che a mio avviso sono i principali e non seguono un ordine di “importanza”. Sicuramente c’è un calo dell’attenzione da parte dei media. La logica dell’informazione mainstream molto spesso non segue un format basato su una lenta narrazione dei fatti, ma cerca di battere il tempo per raccontare la news dell’ultimo minuto. […] Nonostante le operazioni militari turche, che da novembre 2022 fino a gennaio 2024 hanno colpito l’area dell’Amministrazione Autonoma Democratica della Siria del Nord e dell’Est (DAANES), e il terremoto nel febbraio del 2023, sulla regione è regnato un silenzio stampa abbastanza pesante. Le altre ragioni in cui questa indifferenza affonda le proprie radici sono sicuramente di natura politica. L’esperienza rivoluzionaria che si sta sperimentando con la DAANES rappresenta un esempio di democrazia diretta e di risoluzione pacifica dei vari conflitti (siano questi di stampo religioso, etnico, politico): soprattutto, rompe con il modello dello Stato Nazione presentando invece una struttura di amministrazione che si basa sull’autogoverno. Dare risalto alla rivoluzione dei curdi vuol dire mettersi dalla parte dei popoli oppressi. Ciò significa scontrarsi con la Turchia di Erdoğan, che dal 2016 interviene militarmente nella Siria del Nord e dell’Est violando in maniera sistemica i diritti umani dei curdi e delle altre popolazioni che abitano sul territorio. […] Da otto anni gli interventi bellici della Turchia vanno avanti senza sosta e prendono di mira villaggi, civili e infrastrutture vitali per la popolazione. Le ultime incursioni militari durate per giorni si sono verificate a novembre 2022, ottobre e dicembre 2023, gennaio 2024. In questi tre attacchi ci sono state decine di vittime e feriti, mentre sono andate distrutte infrastrutture vitali che hanno lasciato due milioni e mezzo di persone senza acqua ed energia elettrica. […] Durante lo scorso Natale, bombe turche cadono sui curdi distruggendo cliniche mediche, mentre ancora una volta l’Occidente si gira dall’altra parte nel timore innervosire il presidente turco. Se nella DAANES, nonostante la violenza della guerra, in quei giorni di fine dicembre si approva un nuovo patto sociale, in Occidente si cerca di negoziare sull’adesione della Svezia alla Nato; su cui il voto della Turchia ha un peso decisivo. Dallo scoppio dello scontro fra Russia e Ucraina c’è stata una vera e propria corsa dei Paesi Scandinavi a aderire alla Nato. Erdoğan ha nuovamente colto la palla al balzo: nel corso di questi quattro anni sono aumentate le estradizioni dei curdi con cittadinanza turca in Turchia da parte degli Stati europei in cui si erano rifugiati. La Svezia, ad esempio, ha dovuto accettare una serie di compromessi che vedono anche la persecuzione dei curdi. La richiesta di Erdoğan è chiara: avere dei Jet F-16 in cambio del voto favorevole dell’adesione della Svezia alla Nato e opprimere il popolo curdo anche fuori dal Medio Oriente. Tutto questo ci fa capire come ci siano interessi economici, militari e politici che ancora una volta portano i curdi sull’altare del sacrificio: il silenzio e la sofferenza di un popolo che non trova pace in cambio degli equilibri internazionali da dover mantenere ad ogni costo.” 

Come nasce e si sviluppa il Confederalismo democratico? 

“Il Confederalismo Democratico nasce dalle idee e dalle teorie elaborate da Abdullah Öcalan, che a sua volta prende ispirazione dal filosofo Murray Bookchin; filosofo e sociologo anarchico che teorizza una società basata sulla partecipazione dal basso che si autodetermina con assemblee popolari poi collegate a confederazioni. Nei territori del Rojava- dove già dalla fine degli anni ‘70 (periodo in cui Öcalan ripara in Siria scappando dalla Turchia perché perseguitato) il leader del PKK inizia ad andare casa per casa e parlare con le persone (soprattutto le donne, che poi assumeranno un ruolo cardine nel processo rivoluzionario tutt’ora in corso) affinché partecipino al processo di liberazione dal sistema di oppressione in cui vivono- dopo il fallimento della rivoluzione siriana e lo scoppio della guerra civile che ancora esiste, nel 2012 le truppe del regime di Bashar- Al- Assad vengono cacciate via dai villaggi curdi. È questo il momento in cui germoglia il confederalismo democratico; quando si mette in discussione lo Stato- Nazione e si inizia ad ipotizzare un modello di società che parta dal basso. Tre, infatti, sono i pilastri su cui questa filosofia si basa: ecologia, democrazia diretta e la liberazione della donna. Poi la società si organizza in modo equo e ogni struttura della società civile, e non solo, viene co- gestita da un uomo e da una donna nel rispetto della parità di genere ad esempio. […]”

Come si arriva alla cancellazione dell’identità e della cultura di un popolo che continua a resistere alle oppressioni? 

“Alla cancellazione dell’identità e della cultura di un popolo si arriva soprattutto quando si impedisce loro di esprimersi nella propria lingua e secondo i propri costumi. È quello che è successo ai curdi soprattutto nel corso degli ultimi cent’anni quando, dopo il Trattato di Losanna (1923), vedono infrangersi il sogno di avere un unico Stato e si ritrovano invece ripartiti tra Turchia (Bakur); Siria (Rojava); Iraq (Bashur) e Iran (Rojhilat). Alle persone viene impedito addirittura di utilizzare il proprio nome in curdo e i governi tentano in ogni modo di assimilare i curdi alla popolazione di maggioranza. Un esempio più recente lo abbiamo con Jina Mahsa Amini, la ragazza curda del Rojhilat uccisa nel 2022 per non aver indossato bene il velo. Ecco: chi era Jina? Una ragazza curda, ma cosa dicevano i media? Che si trattava di una giovane donna iraniana e la chiamavano Mahsa negando la sua vera identità: quella curda. […] Inoltre, nelle aree occupate dalla Turchia è in corso un vero e proprio processo di turchizzazione: le strade, così come i villaggi, hanno cambiato nome e non sono più in curdo ma in lingua turca […]. La Turchia prova a cancellare la popolazione curda tentando ogni giorno di rendere i territori della Siria del Nord e dell’Est inabitabili. E lo fa ad ogni nuovo tentativo di invasione […].”

Durante il tuo viaggio nel Rojava, nel 2022, hai avuto la possibilità di visitare il villaggio di Jinwar. Com’è organizzato? Può rappresentare una possibilità di rivoluzione e di realizzazione della filosofia di Öcalan? 

“Certo, il villaggio di Jinwar segue lo schema applicato al resto delle città e dei villaggi che si trovano nella DAANES. Unica differenza: ci sono soltanto donne e bambini. Al suo interno si trovano delle casette costruite in terracotta affinché in inverno non faccia freddo e in estate ci sia una temperatura interna fresca. Poi ci sono gli orti, un laboratorio di medicina naturale, la scuola, un laboratorio teatrale, il panificio, uno shop e anche qui si svolge l’educazione basata sulla Jineolojî  e sul paradigma del confederalismo democratico.”

Con gli attivisti e le attiviste localizzati/e nel territorio del Rojava si è approfondito il concetto rivoluzionario di Jineolojî alla base dell’organizzazione del villaggio di Jinwar.

Il nome Jinwar mi rimanda alla parola Jineolojî. Cosa è Jineolojî ? 

“Il termine Jineolojî è formato dalla parola jin che in curdo significa “donna”, ma che condivide la stessa radice con jiyan, che significa “vita”, e loji che deriva dal greco logos e significa “scienza”. Il concetto di Jineolojî è stato proposto da Abdullah Öcalan nel libro Sociologia della libertà, con la prospettiva di creare una scienza dal punto di vista della donna. Ciò deriva dall’analisi che nelle società naturali (neolitiche e matriarcali) la società, così come le sue conoscenze, erano legate alla natura, in armonia con essa e le conoscenze utilizzate per rispondere ai bisogni delle comunità. Con lo sviluppo del patriarcato e dello Stato le conoscenze sono state sottratte alle donne, che sono state escluse dalla vita politica, scientifica, filosofica ecc.… e relegate al solo ruolo di madre, moglie, donna di servizio. Su questa base si sono sviluppati tutti i sistemi di conoscenza, dalla medicina, alla filosofia, all’archeologia, biologia. Le scienze si sono sviluppate escludendo le donne, secondo il metodo positivista, riproducendo la mentalità patriarcale, manipolando le conoscenze al fine di giustificare sistemi di oppressione e sfruttamento. Le scienze sono diventate strumento che il sistema capitalista utilizza per rafforzare se stesso e rendere la società più debole, dipendente da esso e frammentata. La Jineolojî non è una forma di femminismo, né un movimento nato come reazione ad una particolare forma di oppressione o un’altra. Jineolojî è un approccio alla vita, uno strumento di cambiamento della società, un metodo di ricerca rivoluzionario e radicale, perché va alla radice di quelli che sono i problemi della società, dell’umanità. […] Per questo è uno strumento universale, perché non è modellato su una società (curda o del Medio Oriente) ma è una scienza per chiunque voglia trovare una risposta alla domanda “Chi sono? Chi siamo (come società)?” […] La storia fino ad ora è stata scritta dal patriarcato, e la scienza è stata descritta come oggettiva, ignorando però che la posizione di “non prendere posizione” contro il potere dominante significa in realtà assecondarlo e aiutarlo a riprodursi. […] Jineolojî vuole recuperare le conoscenze ed esperienze delle donne, dare loro spazio, voce ed occasione per crescere. […] Jineolojî è un metodo per la liberazione delle donne e di tutta la società. In Kurdistan, in Europa e in diverse parti del mondo si sono formati comitati e accademie in cui le donne si ritrovano praticare insieme la Jineolojî e approfondirne i contenuti. […]”

Quanto ha influito la rivoluzione e il ruolo delle donne nella resistenza curda? 

“In generale non si può parlare della resistenza curda senza pensare al ruolo che le donne hanno giocato in essa. Questo perché la resistenza curda non inizia con la resistenza armata o con la lotta contro Daesh (ISIS) ma è esistita da quando il popolo curdo ha iniziato a subire attacchi e forme di oppressione, centinaia di anni fa. […] Le donne hanno in molti casi lottato contro le forze di occupazione del Kurdistan, dal colonialismo francese e inglese, l’impero ottomano, il regime siriano, quello turco. Dopo centinaia di anni di oppressione e 27 tentativi di genocidio, il popolo curdo, con l’avanguardia di Abdullah Ocalan ha ritrovato la speranza, la forza e il coraggio di lottare per la propria esistenza. Politiche di assimilazione, divieto di parlare la propria lingua, arresti indiscriminati, torture, rapimenti, incendi di villaggi sono avvenuti sulla popolazione curda. Con la creazione del Movimento di Liberazione curdo non solo la lotta contro la colonizzazione del Kurdistan è iniziata ma anche una lotta contro la mentalità patriarcale e feudale. […] Il concetto che una società non può essere libera se le donne non solo libere conduce al fatto che una società libera e democratica può essere costruita solo se le donne hanno la possibilità di sviluppare se stesse, in autonomia, e poi di essere presenti nella società in modo equo. Oggi vediamo che l’avanguardia e la forza della rivoluzione del Rojava viene principalmente dalle donne. […] E in ogni parte l’esempio delle madri dei martiri e delle anziane, che continuano a gridare la loro resistenza, di fronte ai militari turchi, è un esempio di questo ruolo.”

La centralità del pensiero occidentale e patriarcale intralcia la diffusione di nuovi metodi, come quello della Jineolojî, che potrebbero liberarci tutte e tutti da un sistema crudele e opprimente. È inevitabile la paura delle potenze politiche la cui risposta è la violenza e l’oppressione di fronte a idee profondamente rivoluzionarie come quelle del popolo curdo: non parlano solo a se stessi, ma alla società intera.


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